Presentazione Festival

presentation-festival

Io c’ero

Domanda: Che cos’è un festival?

Risposta: È qualcosa che, dopo che l’hai lasciato, ti porti dentro qualcosa.

Domanda: Ma allora che cos’è la presentazione di un festival?

Domanda: Anzi, perché la presentazione di un festival?

Domanda: Ancor più, perché presentare un festival con sette mesi di anticipo sul suo svolgimento?

Una storia può cominciare anche con i punti di domanda. Se le domande sono quelle giuste. La storia di un festival che si chiama “Festival della Crescita” se lo può permettere. Anzi, se lo deve permettere.

E, perciò, proprio con queste domande si è aperto l’appuntamento di martedì 24 marzo, giorno in cui si è alzato il sipario sull’iniziativa. Sul palco, minimo, dello splendido salone d’Onore della Triennale, cinque sedie e quattro persone: Francesco Morace, Linda Gobbi, Franco Bolelli e Dino Lupelli.

Sono le 18.30. «Non è una presentazione», spiega Linda, la prima a prendere il microfono. E ripete più volte la parola «grazie», consapevole che le persone presenti sono state richiamate dalla fiducia in qualcosa, più che dalla consapevolezza di ciò che poteva essere l’oggetto del momento. Dalla fiducia. Dall’aspettativa. Ed è difficile, anche per lei, abituata a spiegare le visioni sociologiche più innovative e coraggiose, trovare esattamente il bandolo, e illustrare a chi le sta di fronte, di cosa si tratta. E allora spiega cosa il Festival «non è». «Non c’era bisogno dell’ennesimo festival che spieghi o affronti un tema specifico, abbia un ente promotore e un comitato scientifico». Dunque, la sfida. «Ma abbiamo pensato fosse necessario immaginare un ulteriore festival. Sì, un festival che significhi stare assieme, confrontarsi e valorizzare i progetti che valgono». Dunque, un momento di confronto dinamico, non una mostra di prodotti o di concetti. Che, appunto, parta dalle domande. E non dalle risposte.

«Perché, dunque, presentarci sette mesi prima? », si alza in piedi Franco. Ha il solito fare (e vestire) dissacrante. E dissacrante esordisce. «Non capivo la ragione, in effetti, di parlare a marzo di una cosa che sarà a ottobre». Franco è l’ispiratore concettuale del Festival, poiché alla base dell’idea c’è un suo articolo del 2014 “Il manifesto della crescita” che ha avviato una riflessione e non poche discussioni su un modo differente di immaginare lo sviluppo (sviluppo, attenzione, e non ritracciamento pauperistico). Poi dice: «Ma invece avevano ragione loro. È corretto che il festival inizi oggi». E alla base c’è la velocità con cui cambia il mondo, e la nuova struttura integrata di società. «Chi guarda gli essere umani come un pubblico – dice – ha perso in partenza. Noi non siamo spettatori passivi. In quel ruolo, non ci stiamo più». Ed ecco, allora, che l’iniziativa del Festival, «deve coinvolgere e far crescere assieme: per questo i 7 mesi prima sono una scelta corretta». Lo stesso principio vale per il modello educativo: «La formula formativa-accademica attuale – chiede e provoca – siamo certi che sia una condizione migliore dell’ignoranza?». Altra domanda sospesa. Per Franco forse è una provocazione, ma forse no. Il modello è a tal punto da cambiare, nella direzione di una educazione-coinvolgimento, che il sociologo-filosofo cita uno dei massimi pensatori contemporanei per chiudere il suo intervento con una lode alla cultura pluritematica e multidimensionale: «Il problema degli allenatori di calcio, è che pensano e parlano solo di calcio». Firmato: José Mourinho.

Poi microfono a Dino Lupelli. «Di solito – esordisce – mi occupo di organizzare festival che hanno un budget e una location. In questo caso, abbiamo già rivoluzionato il progetto 6 o 7 volte». Il risultato, ammette, «è che non ho ancora un’idea». Ma nessun problema. Anzi, anche questo è la valenza del progetto: «Perché la sfida è la ricerca dell’identità. Saranno quattro giorni di caos, ma che lasceranno un sedimento: la voglia di tornare in quel posto che ti ha cambiato qualcosa dentro». È questo che caratterizza il festival, «generare una comunità di persone».

Sono passate le 19 quando Francesco apre la seconda parte della presentazione. A sorpresa, non sarà lui a spiegare: Francesco è uno che sa parlare, e sul Festival della crescita potrebbe intrattenere per ore. Ma si limita a pochi concetti. Dice che «il Festival ha già generato una comunità intenzionale (aggiunge ‘intenzionale’ perché una ‘comunità’, sociologicamente, si lega a sangue, suolo, costumi e religioni… qui sono le volontà e i pensieri che entrano in gioco, ndr). Qui siamo in 171 e, ahimé, 4 sono già dovuti scappare per questioni di tempo (il riferimento è ad Andrea Illy, presente fino a qualche istante prima, ndr)». Inoltre, sono centinaia «quelli che hanno chiesto di esserci, di partecipare e di avviare la costruzione del percorso». L’intervento di Francesco cambia il protagonista dell’incontro. È l’altra parte del palco, a diventare protagonista della scena. È la comunità intenzionale che parla. Ognuno avrebbe qualcosa da dire, un motivo per esserci e un progetto da apportare.

La prima a intervenire è Sabrina Donzelli che si è presa l’onere di dare un ordine a quanto andrà a succedere. Sarà il riferimento della comunità intenzionale «in cui ognuno avrà il suo spazio, perché si cresce dando spazio all’altro, così si crea una cittadinanza attiva».

Poi parlano gli “Ambasciatori” del Festival. Chi sono? Si tratta di un primo nucleo di cittadini attivi che ha abbracciato l’idea del progetto (leggi la twittercronaca). Sono lì. Hanno una manciata di minuti per presentarsi e spiegare perché crederci. E sette mesi di fronte per coinvolgere e lasciarsi coinvolgere nella sfida.

Sono giornalisti attivi, come Luca Testoni e Maria Luisa Pezzali, che parlano di ribaltare il modello editoriale vigente e per aprire i media a un pubblico che diventa stakeholder.

Sono il direttore generale dello Ied Maurizio Cortese che coinvolgerà gli studenti; sono la direttrice marketing di BioNike Lorella Coppo che vuole «capire, con la condivisione, qual è stato il segreto della nostra azienda»; sono il digital storyteller Felice Limosani che “facevo il Dj e mi chiamo Felice, e sono qui perché c’è un incantesimo nelle storie».

Sono anche «nuovi compagni di viaggio», prosegue Francesco nel chiamarli sulla scena. Come il presidente del Fai Lombardia Andrea Rurale cui «interessa come coinvolgere nella bellezza il visitatore»; come la presidente di Koinètica Rossella Sobrero che punta a creare un «engagement con i giovani CsrNatives (i nativi della Csr, ndr) e coinvolgerli nel Festival»; come il responsabile advocacy di ItaliaCamp Francesco Pozzobon per cui «c’è bisogno di connessioni, la crescita è connessioni e innovazione».

La lunga serie di interventi ha posto le prime sfide da giocare nei prossimi mesi. Da condividere e da vincere. Ne seguiranno altre, perché gli Ambasciatori porteranno altri Ambasciatori, e tutti porteranno nuove domande. Cui il Festival replicherà a sei dimensioni: educare, coltivare, inventare, intraprendere, investire, comunicare.

E con una risposta. Cos’è dunque il festival? Una cosa per cui, chi c’era, ha già iniziato a pensare che vale la pena dire: «Io c’ero».

TWITTERCRONACA

Pubblicato Marzo 31, 2015 in: Blog, Evento, News by admin

  1. mi interessa molto capire dove siamo diretti e sopratutto come noi possiamo interagire per tracciare il nostro futuro e soprattutto quello delle nuove generazioni

    alessandra comi, Maggio 26, 2015 a 15:32